Ogni male sopportato

“Io non vedo mai il male”. Dicevo tempo fa a un’amica esperta. “Io credo che tu lo veda, invece, solo che preferisci metterlo da parte”. Ha risposto lei. “E perché dovrei farlo?”, “Beh, per proiettarci dentro un ideale che soddisfa un tuo bisogno”.  A questo punto non avevo più domande. Solo pensieri che andavano dritti dentro una delusione ancora fresca, in cui avevo ceduto alla tentazione di sentirmi ingannata. Invece non c’era inganno: solo volontaria miopia.

E poi mi sono rivista qui, nel punto presente, davanti alla vita che si ripete e che ripropone la stessa prova in modi nuovi, finché non fai il salto e voli. Con una parte di me che sarebbe pronta a trasformare un nuovo rospo in principe, e un’altra che è pronta a stringere i denti, a tenere in valigia i bisogni che nessuno può mai davvero soddisfare, se non sei tu a farlo per te, e anche a continuare a guardare in faccia la realtà com’è, e a non voler nessuno sconto. Nulla di diverso.

Sì, sarebbe stato bello che questa fosse una cosa vera e buona. Sarebbe bello che potessero avere ragione tutti i modi in cui cerco di dare ragioni alte a quello che non va, ma non è così. Allora osservo i tagli con oggettività. Non do a loro nessun nome se non quello che portano da sé. Continuo a costruire la mia storia con impegno. Al rospo, come a un farmaco, osservo fare mascherate che conosco: mi metto anche io nella parte, per potermi alla fine togliere il costume e riprendere la strada.

 

 

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