Nuovo libro

La prossima felicità

12 racconti di persone ‘diversamente felici’: uno chef che vive di baratto, un naturalista che crea con la natura, un’allevatrice di capre dell’Adamello che ha lasciato la città, un fisico eretico e metafisico, una coppia di autocostruttori, un’eroina dalle Alpi alle Ande, un alchimista maestro birraio, un vallicoltore di laguna, un illustratore poeta, una maratoneta che si è rialzata dalla malattia (ed è diventata anche medico), un uomo del bosco della Val di Non, un rifugista delle Dolomiti friulane.

La strada personale della felicità di Giulia Calligaro.

Sono nata sotto le Dolomiti friulane. A 30 anni mi sono trasferita a Milano, provvisoriamente, mi ripeto ancora. Gli incontri raccolti in questo libro sono nati dalla necessità di respirare. 

L’idea è nata durante la collaborazione al settimanale del Corriere della Sera Sette, sotto la direzione di Pier Luigi Vercesi. Spesso, infatti, quando ce l’avevo con la città, quando mi prendeva una nostalgia più pungente di qualcosa di vero, di puro, che idealmente rimandavo alle mie radici, al mondo contadino che avevo fatto in tempo a salutare, chiedevo di fare un articolo su Pier Paolo Pasolini. 

Accadde anche in occasione del cinquantesimo anniversario della morte, nel 2015. Era un momento in cui la puntura della verità in me era più forte che mai, e forse questo nell’articolo venne fuori. Il direttore allora mi convocò: “Fammi una serie di pezzi come questo, su un tema che ti sta a cuore”, mi propose.

Ero appena ritornata da un altro 

mio rifugio di respiro, una casetta di legno sui colli di Assisi in cui mi ricarico di cieli tersi, di albe e di tramonti, perciò avevo le idee abbastanza chiare. “Vorrei fare dei ritratti di personaggi che sarebbero piaciuti a Pasolini, persone che non hanno seguito la moda, la paura, il buon senso: ma solo se stessi e quello che la loro anima doveva fare per compiersi. Persone diversamente felici”, buttai lì. E devo essere stata molto convinta mentre lo dicevo perché lo convinsi. 

Nacque così la serie “I resistenti”, persone che resistono fuori dalle strade comode, quelle più frequentate, per seguire strade più vere, cioè le uniche possibili per loro. “E come si trovano queste figure?”, me lo chiese il direttore, me lo chiesero gli amici. “Arrivano, sono sempre arrivate nella mia vita”, rassicurai tutti. Ed è vero, è stato proprio così: una dopo l’altra sono arrivate, senza neppure cercarle troppo. Molte per affinità, alcune attraverso amici, altre semplicemente procedendo sui miei passi naturali. 

In Friuli, d’altro canto, dopo l’università, quando imparai ad amare la mia terra, gli amici a me più vicini erano Mauro Corona – allora non ancora così famoso -, Ida Vallerugo, Pierluigi Cappello, Federico Tavan. Grandi poeti e scrittori delle mie montagne, ognuno resistente a modo proprio, con cui finalmente ero uscita dalle antologie di carta studiate a scuola. Con loro avevo potuto sentire profondamente che non servono filtri allo splendore naturale delle cose. Direi anzi che solo a partire da quel periodo iniziai davvero a vivere. 

Milano, poi, mi affamò ulteriormente di luoghi sinceri. Così per anni ho percorso il mondo, negli angoli meno fortunati del pianeta, per fare dei reportage ma richiamata in realtà ancora dalla prossimità all’essenza della vita, al suo pulsare. E dove il cielo e la terra erano solo cielo e terra, ho vissuto momenti di reale pienezza. Grandi espansioni d’amore. Inevitabilmente da qui il mio cammino si è approfondito anche in un percorso di ricerca interiore e spirituale. 

Ma non è mai cessata la fratellanza d’anima con questi esseri umani che resistono nella propria storia inedita. Lontani dai luoghi in cui la felicità è una dottrina e un’ideologia. Gli articoli, divenuti i racconti della Prossima felicità, mi hanno dato occasione di incontrarne altri, di allargare la famiglia. Ripassandoli, riscrivendoli, scrivendone di nuovi, mi sono ritornati in mente tutti i viaggi e le peregrinazioni fatte per trovarli, alcune stanze fredde e varie notti lunghe, molte ore caldissime di parole cariche di senso. I pasti e i sapori condivisi, i silenzi necessari, le confessioni intime come ci si conoscesse da sempre. E poi i tramonti con i profili dei saluti quando me ne andavo, ogni volta con la convinzione che ci si sarebbe rivisti.

Il filo rosso che li unisce, l’idea di una felicità più vicina che si trova dentro di sé, ascoltandosi profondamente, ha declinazioni e colori diversi per ognuno. E in alcuni casi ha accezioni molto lontane da quello che i più chiamerebbero ‘felicità’. Ma qui la felicità è una pratica di verità, che si porta avanti anche al prezzo di qualche cosa da pagare. Com’è giusto quando un seme deve diventare fiore e non si chiede quanto sarà freddo l’inverno. 

Un’ultima cosa, come nacque l’idea del libro. Fu così: i giornali, come si sa, cambiano con il girare del mondo. Sette cambiò la direzione e idea. Alcuni resistenti erano usciti, alcuni erano storie scritte che attendevano, altri erano rimasti solo nel mio cuore. In questa situazione incontrai, quasi per caso se il caso esistesse, Massimo Acanfora, lettore attento, che non ci pensò molto e mi disse: si pubblica. Gliene sono grata.