Oggi mi è ritornata in mente una frase che avevo letto in un libro prima di partire: “What I have learned about becoming is that it takes time”, quello che ho imparato a proposito del trasformarsi è che richiede tempo (da Go as a river, Shelley Read https://www.corbaccio.it/libri/come-il-fiume-9791259921321). Il pensiero è riandato lì, mentre mi trovavo sdraiata su un lettino terapeutico, dentro una stanza modesta, ma con storie che uscivano da ogni crepa, in una piccola clinica ayurvedica guidata da un dottore che parla poco e intuisce molto (https://www.aroraayurveda.com/). L’olio caldo stava colando sulla mia fronte da ormai quasi un’ora, la mente era completamente calma, il corpo dissolto, e io mi sentivo pura consapevolezza, appena un testimone di ciò che stava accadendo dentro e fuori di me.
In realtà queste parole le avevo cercate dal mattino, quando stavo onorando la mia pratica di yoga e fuori e intorno a me il giorno albeggiava con canti devozionali, mantra e cerimonie sacre nei piccoli templi qui intorno. Stavo notando quanto ogni giorno il mio corpo, ascoltato, seguito con il respiro e aperto con un amore che non ho sempre il tempo di trovare nella mia vita feriale, stesse un po’ alla volta fiorendo, e come questa espansione andasse di pari passo con una progressiva chiarezza mentale. Lo avevo provato altre volte, in altri viaggi ispiranti, ma ora è anche diverso, perché ogni volta si somma la parte di cammino percorso, le nuove sfide superate, le stanze buie interiori illuminate, i nuovi pezzetti di verità che hai avuto la grazia di ricevere.
E allora questo volevo dire: raggiungersi, un po’ alla volta, richiede tempo. Se rileggo indietro tutte le parole che ho scritto, tutte le volte in cui ero a metà di una rivelazione e dovevo tenermi stretta per non ricadere indietro, anche se non sapevo cosa ci fosse davanti, se penso a quante cose oggi vorrei dire alla me di ieri, sì, mi ripeto: trasformarsi richiede molto tempo. Invece noi di solito abbiamo fretta, e anche i sentieri di consapevolezza vengono venduti con un listino costruito su questa fretta: “5 posizioni per aprire il cuore”, “tecniche di respiro contro la depressione”, “come accendere la tua gioia ogni mattino”. No, non bastano 5 posizioni per aprire il cuore, e non ci sono miracoli o scorciatoie. Trasformarsi richiede tempo, pazienza, di provare e riprovare tante volte. Di guardare in faccia i propri dolori, che ritornano con maschere diverse, finché li avremo davvero completamente attraversati e non servirà ripeterli più. Le tecniche sono la via scientifica di questa trasformazione, ma se diventano la maniglia a cui appendersi si crea una nuova dipendenza, a un fare o a chi lo insegna, mentre lo scopo finale di ogni percorso di consapevolezza è la libertà.
Queste riflessioni nascono non a caso nella città che ad ogni angolo offre classi di yoga o diplomi per insegnarlo. Come insegnante spero di non aver mai fatto e di non fare mai false promesse. Posso solo dire che questa strada la sto facendo anche io, e dopo tanti anni (tanti!) sono qui a testimoniare che funziona, non perché ti offra soluzioni a breve termine, ma perché ti offre un cammino carico di piccole, progressive scoperte su di te e su come vadano le cose universali. Un cammino in cui non devi guardare con ossessione a un traguardo, ma di cui devi apprezzare le piccole fioriture quotidiane, e anche i giorni in cui non sembra fiorire niente, perché un giorno ti troverai in un prato pieno di fiori, come raccontano i grandi Maestri dell’India.
Ecco, questo mi premeva dire oggi, mentre preparo di nuovo i bagagli perché domani parto per l’alto Himalaya, pensando anche già a come vorrò ricominciare i miei corsi al ritorno. Non so quanto internet avrò prossimamente, ma il diario è ancora to be continued.