Erano tre anni che non venivo in India, tre anni in cui è cambiato tutto. Sono cambiata io e lo è la mia vita, sono cambiati l’India e il mondo intero. Così, quando ho deciso questo viaggio, che prima per molti anni era stato usuale e necessario, ho dovuto un po’ bendarmi gli occhi e superare un ponte che si era in parte accidentato.
All’arrivo, questa mia scorza di lontananza è stata messa subito alla prova: mentre il driver mi portava dall’aeroporto di Deradhun alla mia base, a Rishikesh, l’intensità di questo Paese-mondo mi è arrivata tutta insieme. Il caldo umido e quasi spesso della stagione delle piogge, quest’anno particolarmente in forze; la grandiosità della natura rotolata giù dall’Himalaya in frane e grossi corsi d’acqua, e infine in rigagnoli che corrono paralleli alle strade. La densità della popolazione, i colori, i profumi, i suoni senza sosta, che sovrappongono mantra e caos. Le mucche serene, sedute in mezzo al traffico; i cani che vagano continuamente, in cerca di un angolo dove fare casa per qualche ora, e poi due di loro appena investiti, a lato del nostro percorso, esanimi e persi nel grande numero di tutti quelli che qui cercano di stare in vita e che attendono con ansia che il cielo si rassereni, per rivedere gli occidentali seduti ai caffè o nelle sale yoga.
Naturalmente l’India non è solo questo, l’India è anche e soprattutto i suoi Maestri, i perenni ricercatori del Sé, e una passione infinita per la verità che tutto il male della Storia e il progresso, che ora avanza rapidissimo, non sono mai riusciti a spegnere. Proprio questo mi ha riportato in India. Ma intanto ho dovuto iniziare dall’epidermide a farle spazio un po’ alla volta, e così anche a comprendere che sarei stata una bella illusa a pensare che alla fine tutto era volto al bene perché lo era la mia vita, la mia casa in paradiso, e anche Ganga, la grande maremmana che il cibo e l’amore ce li ha sempre assicurati. Bisognava squarciare questa ulteriore protezione del cuore, e anche sapere che, pure a volte nella sua incomprensibilità, comunque c’è un architetto perfetto dietro ogni parte della creazione. E che si deve accogliere ogni cosa e anche l’impotenza di poter cambiare qualcosa da soli. Tenere ogni cosa in sé, e pure fare la propria parte lì dove si è posti, siano pure Ganga e il paradiso.
Nei giorni successivi è stato come imparare progressivamente a rivedere nel buio. C’è un ashram qui vicino alla mia deliziosa homestay (Om homestay a Tapovan/Rishikesh https://www.facebook.com/omhomestay/ Om, è pure guida turistica e organizza fantastici tour himalayani su misura, parla addirittura italiano): è un ashram dedicato al Kriya yoga. Cerco di andarci ogni giorno, poiché trovo i maestri del mio sentiero. Nello spazio sacro per la meditazione bisogna entrare in silenzio e al buio. All’inizio mi pare davvero di non vedere nulla, di poter inciampare, finché mi metto in qualche modo seduta. Poi, quando inizio le pratiche, è incredibile ma tutto sembra farsi più chiaro, dentro e fuori. E alla fine non mi accorgo neppure più del buio e giurerei di vederci benissimo.
Così è stato anche in senso più ampio: un po’ alla volta dal buio di quella corsa che di solito chiamo vita sono ritornata a me e ho ricominciato a sentire la mia voce. Quella voce che neppure in paradiso ti può parlare finché la mente non è calma e lo sguardo non è distaccato da tutto ciò che continuamente ti porta fuori di te, in forma di piccole e grandi allerte. E così ti illudi che ti stai seguendo e che ti stai ascoltando, perché ogni giorno onori tutto il gran daffare, ma questo è vero solo in strati esteriori, e lo capisci quando la vista riesce a oltrepassarli. Mi è chiaro ad esempio in questo momento come questo correre sia la vera bugia con cui siamo continuamente ingannati, non importa quanto buona sia la nostra vita. Finché non ritorniamo al nostro stato naturale, non è possibile sapere chi siamo, cosa vogliamo, cosa pensiamo. Cosa siamo venuti qui a fare. E per raggiungere questo stato naturale bisogna rovesciare i sensi e rivolgerli al proprio interno, con pazienza, con amore, in principio anche superando una dolorosa resistenza. Bucando le protezioni del cuore.
Lo scopo dell’illusione è quello di portarci via, il nostro è quello di ritornare a noi stessi.
(to be continued)