Rinascere, come le margherite

Ieri, mentre Gesù ri-moriva sulla croce e prima di spirare ri-pronunciava le parole più umane e commoventi del suo passaggio nel corpo – Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato -, ho ripensato a tutte le volte, in questi ultimi due anni, in cui ho patito l’abbandono divino, ovvero ho abbandonato la fiducia che tutto stesse accadendo per il mio meglio, e che Lui fosse al mio fianco anche in tutte le prove, soprattutto nelle prove.

Ho rivisto in rassegna l’intensità degli ultimi mesi, e ho avuto quasi uno spavento a ritroso per tutto quello che era accaduto e per quanto di me si era trasformato. E poi ho guardato all’oggi, alla sua maschera di normalità, e ho provato quasi una nostalgia per quando tutto il mondo aveva fermato l’attenzione sullo stesso punto. La sensazione che un vento beffardo voglia ora ricoprire di sabbia, e di fretta e di finte priorità lo squarcio sul dentro che eravamo stati costretti ad aprire. E rovesci le frecce della paura, come se quel viaggiare interiore fosse ora per molti la fonte dello spavento.

Eppure nessuno può salvare nessuno in questo tempo-portale e inesorabile. Possiamo solo, alla fine della lotta di ogni giornata, cercare di tenere accesa la nostra luce e in questo modo forse fare anche strada per chi si fosse perso. E così mi sono riguardata nell’attraversata, le parti di me che avevo dovuto lasciar andare, e le presenze che non ero riuscita a portare fino in fondo al viaggio. C’è stato ancora per un istante il pungere dell’abbandono, divino dietro l’umano, solo un istante, poi l’attaccamento spezzato si è trasformato in preghiera.

E così ora sono veramente pronta ad accogliere tutto e a rinascere, come i cuccioli di prato che rinverdiscono in questo principio di primavera. A riaprire la corolla, come ogni mattino le margherite.

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