Non ancora, non adesso. Ma verrà primavera, e porterà la luce attesa, come una promessa. Non sarà solo un tripudio di fiori, di freschezze posate sui prati, sulle punte dei rami. Sarà l’aria fresca che attraversa libera il cuore. Che guarisce il respiro rimasto impigliato a una spina che ha tagliato la strada, spezzato la vita a metà, senza portarsela via.
Ora lo so, non mi ero ancora arresa abbastanza, e i graffi andavano lavorati in profondità, fino a ossa antiche, per fare varco alla linfa più viva. Non mi ero ancora fatta abbastanza da parte, e l’amore non era ancora davvero amore. C’erano paura e controllo, e il copione veniva scritto dentro confini di cose attese, che andavano spazzate, sradicate al fondo. Non ero ancora quel nessuno che aveva urlato nel petto, per chiedere silenzio, sul letto con le cannule ai polsi.
E allora eccomi con una nudità ulteriore, seduta a un nuovo lato della mia strada, a non voler più salvare niente. A lasciarmi potare per fare le gemme, come la vite evangelica che deve dare più frutto. Ci sono ancora intere radure crude e aride da coltivare in me. Piano, smuovendo le zolle delle abitudini fatte solo di me. Ci sono tanti confini e recinti di proprietà non più attuali da far cadere, affinché nulla sia più separato e ciò che è Uno ritorni ad essere unità.
Ma per fare questo bisogna salire a piani più alti di libertà, dove il mio mondo resta intero e totale, anche di fronte ad un’altra totalità. Qui, come un’esploratrice, potrò prendermi per mano, prenderti per mano, farmi prendere la mano, e camminare verso quello stato naturale, perso tanti dolori fa.
Aspettami lì, con pazienza, con amore. Ci saremo l’un l’altra insegnante e allieva. Sto arrivando, non manca tanto alla primavera.