C’è una luce speciale in queste giornate di primo autunno. Le ore non paiono allinearsi, ma accogliersi l’una nell’altra, e infine sciogliersi dentro l’oro del tramonto. E così mi pare accada per tante cose di questa mia nuova nascita, che abbraccia in sé tutte le ere che ho attraversato. Ci si dice ogni tanto: devi lasciar andare, distaccarti da quello che è finito. Ma oggi non sento necessità di divisioni: sento un bisogno di tenere tra le mani e rassicurare tutti i pezzi piccoli e antichi di me, anche se hanno continuato a mescolare il presente con immagini del passato.
C’è un amore nuovo, morbido, dentro alle mie cellule. Così, ieri ho parlato ad un grumo di dolore che era rimasto incastrato sotto al mio sterno. In altri tempi avevo cercato di estirparlo, di liberarmene: il mio corpo ha dovuto lasciarsi rompere perché uno squarcio di verità portasse nuova luce. Come un lampo che accende l’oscurità, ad un tratto ho compreso che io avevo continuato ad essere questo grumo di spavento, e che tutta la mia vita era stata vissuta con questo filtro. Che era un spettacolo inventato, che girava in loop, solo dentro alla mia mente.
Un giorno di uno dei tempi di questa linea lunga che è il nostro morire e rivivere: qualcuno era arrivato con una lama affilata e aveva spezzato la continuità della speranza, della gioia, ogni certezza e diritto di poter essere semplicemente amata. E non importa se poi erano arrivate vite e istanti nuovi: non c’era più spazio per questa freschezza che si rinnova. Dal punto di vista del vecchio taglio, sarebbe sempre arrivato qualcuno a farmi male, sarei ogni volta dovuta fuggire, sentirmi lontana da tutti, anche da vicino.
Su questo pensiero rimasto incastrato avevo costruito un’idea di me, che poi era andata avanti, senza più ricordare di essere stata creata, di non essere lo stato naturale. Un’idea piena di forza, piena di coraggio e libertà, che non aveva più nulla di accogliente su cui poter riposare. Ecco, all’improvviso tutto questo è crollato. Come un telo dipinto che si affloscia a terra e scopre le quinte. Dietro c’era solo questo grumo che continuava a replicare se stesso e la stessa disperazione. E non ero io, non tutta: solo un preciso pezzo del passato.
No, non mi sono arrabbiata per il tempo andato: non c’è stato neanche un passo non necessario per arrivare a questo svelamento. Perciò non sento di dovermi dividere, di voler strappare questo grido. Una parte adulta di me lo ha accolto come un bambino: gli ha detto che quel male era tutto finito, che intorno c’era una vita nuova, persone nuove, possibilità nuove. E l’ha rassicurato e accudito, fino a farlo addormentare di un sonno nuovamente innocente.
E ora sono rimasta qui, davanti al tramonto, dentro al paesaggio nuovo della mia vita.