Rinasco e non voglio intitolare questo testo al virus. Quella era la vecchia vita e io sto già camminando dentro una nuova nascita. Sono ancora nella corsia dell’ospedale, seduta sul mio letto bianco, intorno ci sono i muri, da qualche parte il cielo. Ma sono anche dentro una dimensione così immensa che non può essere contenuta più da questa stanza di pena. C’è stato un momento ieri in cui le cose sono state chiamate con il loro nome: “Tu sei un piccolo miracolo, lo sai?”, mi diceva la dottoressa giovane. “Quando sei arrivata qui la prima notte non era per nulla detto che ce l’avresti fatta. Siamo stati tanto preoccupati per te. E ora guardati: poco più di una settimana e prima ti ho sentito cantare”.
Per un attimo ho ceduto a una sorta di spavento ritardato, e mi sono abbracciata e ho accolto qualche lacrima. Ma subito dopo mi è ritornata davanti all’occhio centrale tutta l’esperienza e ho dovuto ammettere che no: non ho davvero avuto paura. Certo che qualche notte ho pensato che la vita potesse scivolare via da me, ma io non ero quella parte che tremava, ero in un centro più profondo ad osservare quello che voleva accadere.
Dal primo momento mi è stato chiaro che io ero già ammalata, prima ancora di contrarre l’infezione. E che, se volevo guarire, non era dai quei luoghi sfiniti che potevo spremere ancora forze. Ed è stato come un ritirarmi, come un arretrare fino a un luogo in cui io non ero più io. Ero uguale alla forza che sostiene il tutto. Ero l’aria fresca dei colli, ero le stagioni che senza sforzo si succedono una dietro l’altra. Questa forza più grande non era interessata se io avevo il virus, procedeva ineluttabile seguendo delle leggi più grandi.
Da quel centro necessario, vedevo tutte le irritazioni della mente, i vortici che mi avevano fatto uscire dall’universale, diventare la mia piccola storia: come l’aver dato loro credito fosse stato un progressivo uscire dall’armonia universale, per diventare qualche cosa. Qualche cosa di amabile con molto sforzo personale, di accettabile, da rassicurare per tutte le paure che ci fanno anteporre bisogni a verità, come se l’universo non avesse delle ragioni per averci nel suo grembo e se questo non fosse abbastanza. Ma se, anziché fuggire fuori in quei vortici della mente, restavo al centro: io lì ero una parte del tutto.
Lì era tutto possibile: sarei potuta scivolare nella morte o nella vita. Era già successo in milioni di incarnazioni. Questa mi aveva fatto incontrare il Coronavirus, in altre magari un soldato con la spada: era tutto indifferente per questa forza che sosteneva il creato. E anche io potevo completamente accettare l’unica cosa desiderabile: la verità. Eppure è stato proprio dentro questo centro che ho percepito con certezza che non era ancora finita la mia storia, la storia del battito di ciglia di questo mio passaggio terreno. Non avevo quasi più preferenze, ma la chiamata che sentivo era solo quella di mollare. Non di cedere: ma di permettere a questa forza più grande di attraversarmi e di vivere attraverso di me, non più il contrario.
Io non ero più niente, e questa sensazione era ed è bellissima. Io non voglio più essere niente, se non quello che vuole usarmi come canale. E contemporaneamente sento di non aver più né tempo né alcuna tentazione per alcun compromesso: ora mi amo, senza annodare troppo i fili della vita, e non voglio più nulla perché questo accada. Sono la cosa più importante che ho. Non il mio piccolo ego, ma questo pezzetto del tutto che rappresento nel creato. Restare lì è lo scopo, e tutto il resto si farà da sé. Esattamente come l’autunno che ora succederà all’estate. La natura non si eccita, non si arrabbia, non si fa convincere: non è una lezione per ognuno di noi questa?
Ecco, in questo modo ho capito che sarebbe stato, e sarà, lungo riprendermi: ma mi sarei salvata, perché non si può uscire dalla vita, finché la vita ti abbraccia in sé.
2 thoughts on “Respiri di rinascita”
Carissima Giulia sono davvero felice di leggere che ti stai avviando verso la guarigione ⚘⚘⚘⚘⚘⚘⚘⚘ dai che a brevissimo entrerai in convalescenza e poi verso la completa guarigione. Ti abbraccio fortissimo cristina
Cara Cristina, dall’ospedale non riuscivo. Ora ho più forza e volevo ringraziarti per la tua lettura attenta e piena di cuore in quei giorni.