CAP I, 10 agosto. Le parole più belle del mondo sono: è negativo.
Ci sono geometrie della vita che non è facile decifrare subito. Bisogna avere la pazienza di lasciarle raffreddare, di risalire a una nuova altezza interiore, dove si rendono leggibili insieme alla lezione che sono venute a portare. Mi sono trovata in una di queste di recente.
Finalmente scelgo di vaccinarmi, sì, con ritardo e dopo aver corteggiato anche l’idea di non vaccinarmi. Ma questa volta la decisione era forte: ne avevo sentite troppe, non volevo stare in questa guerra, e volevo fare la mia parte, continuare anche a fare servizio, insegnare yoga e scrivere e condividere. E questo era il modo per farlo. Ho sentito addirittura un brivido di luce quando la sostanza è stata iniettata dentro al mio braccio. Al solito mi sono chiesta troppo e non ho interrotto la mia vita neanche per un’ora. Subito dopo l’iniezione ero di nuovo al corso di yoga che stavo seguendo.
I sintomi del post vaccino sono arrivati dalla sera: torpore, sensazione di febbre senza avere vera febbre. Pesantezza del corpo. Tutto gestibile. Così è stato per il secondo e il terzo giorno. Il quarto giorno ho dato un colpo di tosse. Uno solo. Il quinto giorno mi sono svegliata rovente, barcollante: la febbre ora c’era ed era salita oltre i 39. Che strano effetto. Condivido tutto questo con il mio medico che mi dice di stare a riposo. Il sesto giorno arriva il messaggio di un compagno del corso: sono positivo. Immediatamente vengo segnalata alla mia sede Asl per un tampone.
I pensieri iniziano a girare rapidi. Avevo monitorato per mesi e mesi i numeri dei contagi che giravano nel contatore mondiale, e ora c’era la possibilità di essere uno di questi. Di diventare il peggiore degli incubi dei miei genitori che erano rimasti incollati davanti alla Tv ogni sera a sentire dei nuovi casi, che sembravano però sempre accadere un po’ più lontano della vita reale. E poi tutte le cose che avevo ancora in programma di fare… Non mi serviva a niente questa agitazione, anzi: una cosa che mi è stata chiara da subito è stata che la vita stava cercando di fermarmi, di farmi riflettere sulla follia della giostra in cui mi ero rimessa di nuovo.
Il tampone è stato per lo meno originale. Non ero in grado di guidare fino al “drive-in”, quindi sono venuti quasi a domicilio. “Quasi” perché non è facile reperire la casa in cui vivo ora, quindi mi sono fatta forza e sono andata incontro agli operatori fino all’imbocco della strada principale. Proponevano di farmelo lì, seduta stante. Con tutti gli occhi che spuntavano da dietro le tende nelle finestre. Ho chiesto una seconda chance. Abbiamo deciso alla fine per lo spazio dentro un cespuglio di more. Una spinta vigorosa, quasi la sensazione del vomito. E poi l’attesa. Intanto altri partecipanti al corso iniziavano a cadere uno a uno: positivo, positivo.
È incredibile come, quando siamo davanti a cose estreme, arrivino risorse estreme. Le giornate erano state roventi, e mal si sposavano con la mia febbre alta. Ma la sera in cui ero davvero pronta ad attraversare anche questa esperienza, mi sono seduta con uno scialle in giardino e ho sentito scendere un’infinita pace. Ho rovesciato gli occhi alle stelle e mi sono affidata alla forza più grande che respiravo così prossima e simile in me e nella natura. Quella stessa notte, risvegliandomi per la bocca secca, ancora quella espansione quieta nel cuore.
“Signora lei è risultata positiva, ora le manderemo il certificato di contumacia per stare in isolamento. Dovrà seguire il protocollo di cura del suo medico, ci deve mandare i riferimenti di tutte le persone con cui è entrata in contatto, e poi ci riproviamo il 23 con un nuovo tampone”. “Positiva”, questa parola che era stata così diffusa nell’ultimo anno e mezzo ora veniva rivolta a me. Avevo preso il Covid, l’impietosa variante Delta, molto probabilmente il giorno dopo essermi vaccinata. Ma questa non era una sospensione dalla vita, era evidentemente il modo in cui la vita ora mi poteva insegnare qualcosa.
CAP II, 14 agosto. Minuti lunghi giorni
Neviaferrin, una capsula il mattino. 20 gocce Zibenac vit D forte a pranzo. Antibiotico Azitromicina a cena. Dopo colazione e prima di andare a letto una bustina di antinfiammatorio Nimesulide. E poi varie magherie indiane: Neem, curcuma, Tulsi. Mattino e sera prendere la temperatura e la saturazione d’ossigeno. All’inizio affronto tutto con forza, mi pare quasi inevitabile di essere stata fermata, mi accorgo che non vedevo neanche più la bellezza che circonda la casa: altro che cure intensive, qui sono in una riserva di ossigeno naturale. La febbre mi illude di scendere per un giorno, mi pare che potrà addirittura essere un’opportunità per la vacanza che non mi ero concessa. Ma presto riempie di nuovo gran parte della barretta di mercurio, e si prende le mie forze.
Il mattino riesco al massimo a fare qualche respiro davanti all’immensità del Subasio. Mi stendo sul tappetino da yoga, ma quasi sempre mi addormento. Non ricordo neanche più la me che faceva quasi tutto ciò che voleva con il proprio corpo. Al telefono mi cercano gli amici più cari. Ad alcuni decido di dire cosa sto attraversando. La voce raggiunge cerchi sempre più grandi. Per qualche mattino sto ore al telefono a rispondere a tutti. Ne esco sempre stremata. Lascio che il numero dei messaggi sospesi cresca senza rispondere e senza sentirmi male per questo. Mi è molto chiara una cosa: la falla in cui è entrato il male è stata il mio eccedere di presenza fuori. A un certo punto mi ero trovata immersa nella rabbia che sta separando il mondo. Non perché mi interessi prendere parte a qualche squadra, semplicemente perché sono uscita fuori di me e sono finita in quel pantano.
A tratti sono disperata: devo guarire il cuore, devo spegnere la mente. Invece mi arrivano piani fantasiosi, tipo un party a finestre chiuse con i no vax, no virus: credo che se uno provasse davvero cosa significa avere questa malattia, comprenderebbe che bisogna evitarla ad ogni costo. Finalmente il sesto giorno cedo. Non controllo più cosa succede fuori, rispondo solo ai messaggi urgenti, non a quelli curiosi o di chi vuole chiacchierare, che non ho forza di farlo, e mi chiedo come possano non capirlo. Finisco per dormire tutto il giorno. Anche perché la notte si fa sempre più problematica: fa molto caldo e questo basta a far respirare male. Cerco di capire se sono in debito di ossigeno. Compulso il saturimetro finché mi dà un valore accettabile. Il naso è congestionato, questa è una delle caratteristiche della variante Delta. Respirando con la bocca mi si crepano le labbra e la gola. Mi sveglio ogni cinque minuti per umidificare. Cambio varie posizioni e angoli della casa, finché alla prima luce dell’alba mi lascio andare.
Eppure le leggi spirituali non sono state sospese: e persino questo è perfetto. Quando lo potrò capire.
CAP III. 15 agosto. Locked in
Chi si fosse fermato alla solitudine del Lockdown, sappia che non è quella la vera solitudine. C’è, al di là di quell’essere ritirati dietro gli schermi, uniti da qualche flashmob e dalle chiacchiere sui balconi, un vero e profondo essere completamente con sé. Quando il tampone dà esito positivo, non puoi più incontrare nessuno. Devi pensare al tuo cibo, anche quando avessi appena le forze per alzarti dal letto, all’igiene della casa, alla gestione dei tuoi rifiuti, alle comunicazioni mediche. E una sola di queste azioni prende tutta la tua energia.
Oggi mi sono alzata senza febbre, ma vivo le ore della festa con affanno, il caldo intenso non aiuta. La cosa che mi spiace di più è di aver creato ancora preoccupazioni ai miei genitori, che si meriterebbero a questo punto di riposare. Per tutta la vita hanno dovuto seguirmi su strade non ordinarie, concedendomi fiducia. Per quest’anno avevo dato loro già abbastanza emozioni: la vendita della casa di Milano, il trasferimento in Umbria. I loro ammonimenti: “quando ti vaccini?”, e io che pensavo di essere nel luogo più sicuro al mondo. Quando finalmente mi sono decisa a farlo, ecco la beffa del destino: insieme mi vaccino e mi espongo a un focolaio.
Le giornate sono veramente lunghe, perché devi trascorrere il tempo a non fare nulla. Non è tempo liberato che puoi usare per fare cose che non ti concedevi mai di fare. Puoi solo essere, ascoltare il corpo che si trasforma. Da un paio di giorni il saturimetro oscilla su valori che preoccupano, allora misuro e rimisuro il mio dito, finché non ho un esito che mi conforta. Un amico mi dice che questi strumenti da casa non sono troppo precisi e di non ossessionarmi. Mi serve credergli. Decidere che è solo la stanchezza che questo maledetto coronavirus porta con sé.
La notte spesso vago tra il divano e il letto, finché crollo stremata. Le buone notizie sono piccole cose, ad esempio da due giorni ho ricominciato a respirare dal naso, e quello che mi sembrava ovvio fino a qualche tempo fa, è divenuto una benedizione senza pari. Così cerco di vivere piccole gratitudini. So che la guarigione deve passare dal cuore.
2 thoughts on “Il mio diario Covid”
Ciao. Posso fare qualcosa in questo momento? Mandarti la spesa via corriere? Le mie finanze sono al lumicino perché sono in grado di pagare entro il 15 settembre 1500 eu di tasse e ho un po’ di più di risparmi da parte, ma trovo che tendere la mano, nel mio piccolo, a chi ora non sta bene sia giusto. Per l’indirizzo di spedizione eventuale troviamo il modo di comunicare in privato. Potresti darmi quello di un negozio in cui abitualmente ti servi e che ti possa portare tutto dove stai. Sempre in privato… ti abbraccio cristina 🌈⚘🌈
Sono lieta di sapere che puoi contare su altri in questo momento. Presto guarirai ne sono certa. Devi imparare una lezione e la via giusta era questa, altrimenti il tuo passaggio in questa vita terrena sarebbe stato incompleto. Ti abbraccio forte Giulia, anche se non ci conosciamo personalmente. Riposa, ora… con affetto, cristina