La cura di me

Qui c’è un luogo in cui batte solo il tempo presente. Lo visito nelle passeggiate della sera. Mi siedo sotto un grande albero e faccio dei bagni di quello che c’è, senza pendere neppure con uno spigolo della mente verso il passato o verso il futuro. Arrivo con le spalle cariche della giornata, distendo sul prato tutte le mie domande, i piccoli tagli che non ho ricucito, e non attendo nulla, nulla oltre al tramonto, al vento che mette le dita tra i rami e nei capelli.

E quando smetto di fuggire avanti o indietro nella linea del tempo, inevitabilmente vengono a galla cose importanti che aspettano la mia attenzione, e risale alla gola anche l’eco di cose non ancora guarite che perciò trovano volti e modi nuovi per visitarmi e per invogliarmi di verità. E anche queste le metto davanti agli occhi, sull’erba, le osservo, le accolgo senza ribellione, cercando di non toccarle neanche con un pensiero, poiché è pensandole che diventano grandi ed entrano dentro le cellule, così che si impossessano della vita.

Apparecchio tra i fiori le parole di un amico, che forse non sapeva che stava infilando il mio cuore tra le sillabe mentre mi raccontava il suo lontano. La fatica di non saper chiedere aiuto, e di parlare forte perché non si senta l’urlo della mia fragilità. Il batticuore per aver resistito a quella morbidezza bella e non vera che mi aveva aperto le braccia, e il mio modo così sbilanciato di dare, per dire come vorrei ricevere.

Osservo tutte queste interiora che fanno paesaggio nella natura e le impregno di sguardo, di luce del cuore. Resto vuota e piena di essere, affido al giallo delle ginestre la cura di me, il perdono per tutte volte in cui non mi sono salvata.

 

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