Prima ero seduta sul prato, come faccio spesso in queste giornate gloriose di maggio, per la meditazione della sera. Seduta tra un grillo che cantava a meno di un metro da me e molti altri più lontani che facevano eco. Con i fili d’erba che ondeggiavano al vento del tramonto e davanti agli occhi tutta la vastità dei colli quando si trasformano in cielo. E all’improvviso mi è stato chiaro: noi non dobbiamo fare nulla per riparare il mondo, dobbiamo solo farci da parte e lasciare che la vita si prenda cura della vita.
C’è un’intelligenza che sovrintende ogni cosa, e l’ordine della verità è il moto naturale della vita, se noi non le facciamo lo sgambetto. E questo vale per le cose grandi e per quelle piccole e personali. Se riesci a distendere la pelle oltre la resistenza con cui vorresti guidare i risultati verso la meta che per te è l’unica direzione giusta del cammino, allora puoi vedere come ogni cosa sia perfetta, fin nei più piccoli dettagli. Sì, sono contati fino all’ultimo tutti i capelli che abbiamo sul capo.
Ostinarsi ad andare contro questa forza significa soffrire, aprirsi significa fluire con la potenza che ha creato la creazione. Noi possiamo appena cooperare con questa forza, e poi sollevare le unghie e lasciare che la corrente muova da sé le carte che abbiamo messo in gioco e ci porti ciò che è giusto per noi.
Così per un istante si è fatto un tale silenzio, una tale pace in me, si è levata una tale gratitudine che mi ha tolto dalle spalle decenni di muscoli tesi. E quando la mente è ritornata ad alcuni miei piccoli affanni di questi tempi, ho sentito che non c’era nulla di incustodito, nulla di non amato. Allora mi sono amata profondamente anche io, mi sono avvolta le spalle con l’orizzonte.