Anche il paradiso ha bisogno di essere interrotto. E oltre il corpo, anche i pensieri necessitano di prendere aria. Così oggi ho portato i miei – autocertificati – in giro per l’Italia, dai colli alle Dolomiti, attraverso la primavera, dentro cieli ventilati che facevano levitare il giallo della colza. Mi sono accorta quanto mi mancasse il viaggio, quanto sia ancora il mio elemento naturale. Come riesca a lasciare dietro vecchie versioni di me insieme ai chilometri.
Così, insieme a nuove chiarezze, sei ritornato anche tu. Non tu per come saresti se ti cercassi ora, al termine del piccolo pezzo della storia del mondo che abbiamo scritto insieme: te in quella favola che fa da trama allo spettacolo delle nostre tante vite, dove c’è il senso di quello che siamo venuti a fare. E allora ho sentito forte, dietro il muro dove adesso dobbiamo non saperci, un grande moto d’amore. E ho visto che ho sempre meno bisogno di legare questo amore a qualcosa che mi appartenga. Oppure di dirtelo, per essere riamata; o di volerne fare qualcosa che si possa toccare.
So che anche così, in quel mio silenzio che percorreva la luce della primavera, ti è arrivato. E per un istante ti è stato più leggero il tratto di strada che ora devi percorrere da solo. I primi passi sono sempre i più duri, li conosco, quando sembra ancora di potersi girare, di ritornare alle poche scene che separano il tempo in cui tutto era come sempre, e non c’era da attraversare una nuova fatica del cuore. Ma dentro questa favola che ci sottostà e ci guida, ho visto tutto così perfetto, e volevo fartelo arrivare con i pensieri.
Si cresce proprio in questo modo, sai, scavallando le sofferenze, illuminandole, finché dentro ci soffi, appunto, di nuovo l’amore. E io stessa mentre amavo così, senza condizioni, sentivo insieme voglia di piangere, come una bambina che vorrebbe evitare la prova, e anche la felicità per la nuova tappa di verità che ci sarà rivelata quando saremo guariti, quando anche questa lezione sarà diventata carne e anima.
Conosciamo entrambi bene le tappe di questo passaggio, e sappiamo anche che l’averlo vissuto già tante altre volte non allevia davvero la fatica: che bisogna rifarla ogni volta intera e rinnovata, e per un istante pensare che questa è la volta di troppo, quella che non ci sta nel cuore. Ma non c’è un altro modo per imparare, e servono pazienza e tempo. Le certezze vengono ogni giorno superate da pensieri più chiari, meno provvisori, che attendono che si sia depositata completamente la parte di noi in cui non eravamo noi.
Oggi, ad esempio, mentre guidavo ho visto quanto mi costi riconoscere davvero il male quando mi accade, quanto cerchi di dare all’altro giustificazioni e ragioni, e come così io finisca sempre per non prendermi cura di me, e questo non lo voglio più fare. Ho visto anche quanto sia stata io a scavare sotto di noi il buco in cui siamo precipitati, a sabotare la vicinanza che potevi essere, perché, non proteggendomi mai abbastanza, alla fine non mi resta che scappare. E ho visto altri frammenti di verità, quelli in cui siamo stati solo idee di noi, così lontani dalla realtà, da non poterla poi affrontare.
Sì, questo ho visto: tu non eri solo tu. Eri anche un luogo a cui mi ero affezionata per poterci appoggiare ogni giorno un po’ di bellezza. E anche la meraviglia che c’era oggi nel cielo era troppa, se era solo per me. Non sapevo a chi raccontare l’emozione della colza in fiore. Eppure, è proprio trattenendo questa forza che vorrebbe andare in luoghi noti, che arriva il nuovo che saremo e che ancora non ci è dato di sapere. Serve spazio vuoto e tanto silenzio, perché la vita possa entrare e portare quello che già ci sta attendendo. E serve tanto coraggio per resistere, per non guardare indietro.
Ma sono queste ancora solo piccole luci, che non formano una nuova alba. Volevo fartele arrivare così, come i petali dei fiori dei meli che oggi il vento metteva negli occhi del viaggio. Consegnartele prima che la vita ci porti via.