Oggi sono scesa in “città”, ovvero dai colli ad Assisi (come può cambiare la prospettiva di una che era adottata milanese). Avevo negli occhi della memoria la bellezza della città di San Francesco nel periodo prima di Natale. Le luci, persino i banchetti con gli oggetti sacri e i sapori tipici. Niente di tutto questo. Sotto un cielo blu mozzafiato, in mezzo alle stradine di pietra bianca, c’eravamo solo io e il vento frizzante di dicembre. Contati sulle dita delle mani, i negozi aperti non arrivano a finire il secondo palmo.
Avrei voluto acquistare dei regalini, invece è diventato un altro viaggio. Sono entrata in uno di questi negozi: uno in cui entro sempre quando sono qui e che amo molto. “Non riaprono per Natale, ho chiesto?”. “E per chi aprono?”, mi ha risposto un po’ avvilito il commerciante: “Molti preferiscono tenere la cassa integrazione e stare chiusi. Quale turismo potrebbe venire, d’altro canto?”. Il locale davanti alla Basilica, di solito punto di ritrovo della vita del centro, è vuoto. Entro, chiedo un caffè d’orzo, sono gentili, mi si fanno intorno in tre, sperano che porti loro fortuna.
Poi riprendo a camminare. Sì, mi è venuto un po’ di magone. Dai colli sembrava che il silenzio sapesse di cielo: qui è pesante, triste.
Avrei voglia di scappare. Cedo anche al pensiero di Milano, all’impeto con cui ripopolerà le strade da domani, con l’allentamento delle restrizioni. Poi ci penso ancora, e non voglio cedere. Ci sono stagioni della vita in cui è sano e giusto avere intorno un ambiente che da sé tiene accesa la vita, altre in qui quello che hai preso invece lo puoi dare tu. Momenti in cui riempi il bagaglio, altri in cui distribuisci i doni. “E perché no?”. Sono ritornata indietro. Sono entrata in ognuno di questi negozietti aperti. Ho parlato con le persone, abbiamo trovato qualche scintilla e speranza. Ci siamo detti che la cosa che meno vorremmo dal futuro a questo punto e che sia uguale al passato.