Per cambiare, questa volta il lockdown lo passo qui, in una casetta di legno in mezzo ai colli di Assisi. Quasi una piccola arca di Noé, in cui ci sono alcuni rappresentanti di varie specie, che cercano di valicare la transizione verso ciò che sarà. Oggi, al primo giorno di chiusura anche dell’Umbria, nella formazione di partenza ci sono due gatti, che definire randagi dopo 3 anni di coccole, miagolate e carezze rubate, è improprio; un topolino che si è infilato nell’intercapedine della casetta, in mezzo alla paglia, fiducioso della pancia piena dei gatti; una vespa che ronza sull’abbaino in attesa che io apra il barattolo del miele, un riccio che la notte arriva a mangiare i resti di cibo sempre dei gatti. E io, almeno per un raggio di tre chilometri, l’unica rappresentante della specie umana. Però certo non si può dire che intorno manchi la vita: vegetale, animale, minerale. E’ anzi un trionfo del creato.
Questa mattina mi sono svegliata molto presto, troppo presto ho pensato. Però poi mi sono accorta che era un pensiero vecchio: troppo presto per cosa? Non ci sono più questi parametri ora. Era anzi il tempo perfetto per sentire che quasi a metà novembre cantano ancora tantissimi uccellini, per vedere che la luna rischiarava di una luce azzurra il profilo dei colli, e per notare che l’aria di questo primo autunno è mite e carica di profumo di foglie. Mi sono coperta un po’ e ho infilato i piedi nel prato. Non ricordo mai e mi stupisco ogni volta di quante cose faccia venire a galla la convivenza stretta con la natura. Cose impensabili, sotto l’epidermide tesa della vita quando va di corsa.
Così, in questi giorni, è come se cadesse un guscio al giorno, se ogni giorno avessi memorie antiche di me. In questo tempo che ci vuole con la maschera, molte verità hanno la possibilità di essere smascherate. E’ strano che, nonostante il lavoro mi sia stato di nuovo fermato, di questo momento io ora riesca a cogliere soprattutto l’opportunità. Sono estremamente toccata dalle sofferenze che stanno raggiungendo molte persone, e per queste cose grandi devo affidarmi a visioni grandi, più grandi dei miei occhi, dove esiste una ragione per ogni cosa. Ma so anche che il movimento della Natura ha traguardi che vanno al di là della nostra specie, e che siamo stati noi a sopravvalutarci, da sempre. Una scrollata di spalle dell’Universo ci può rivelare in un istante la nostra piccolezza. Allora bisogna cercare di salire in groppa a questo movimento, muoversi insieme all’onda.
In marzo sembrava una situazione di temporaneità, eravamo tutti fermi ma anche tutti pronti sui blocchi a ripartire. Questa volta forse si inizia a capire che in ogni caso nulla sarà più come prima. E che se non si cambia qui si rischia di farsi male. Perciò sento, diversamente dalla primavera, che non vanno difese le cose vecchie, ma bisogna soprattutto allentare per permettere al nuovo che attendeva di trovare spazio di uscire da noi. Personalmente non mi sono mai permessa del tempo vuoto, o meglio del tempo in cui faccio sempre quello sto facendo: ora se parlo con un amico sono con lui, se scrivo una lettera le dedico tutta la mia attenzione, se pratico o insegno yoga cerco il punto fermo del tempo in cui ogni gesto avviene. Prima c’erano sempre cose del passato da ripensare, se le avevo fatte bene, e cose del futuro da programmare, affinché non le dimenticassi.
E questa presenza nel presente, senza più attese che finisca o inizi nulla, sta facendo una selezione feroce delle cose che davvero contano nella mia vita. E anche dei modi in cui farle. Cresce ogni giorno di più la fiducia nella verità. sembra una banalità detta così, invece è un capolavoro riuscire davvero a fare una cosa senza avere il pensiero anche esterno di come la riceverà il mondo o di come persuaderlo affinché questa cosa piaccia e venga valorizzata. Tutte queste cose sono scadute in me, qui. Non controllo i risultati, cerco di mettere bene i semi, di farlo con amore, e questo è tutto quello che è in mio potere fare. Il resto non sono affari miei. Mio compito è ascoltare la voce interiore e seguirla, ma come queste cose si debbano poi compiere è affare dell’universo.
Sento che il nostro destino, la nostra missione più intima e più vera, non ci può prendere per mano, finché quella mano non la porgiamo noi, finché non siamo noi a dirle: sì, questa è l’unica cosa che veramente voglio nella vita. A quel punto però, dopo quel Sì, può sprigionare la sua potenza. La stessa potenza che c’è nella distruzione ora, ci sarà nella costruzione. Allora, dove vogliamo essere, tra le macerie o tra i germogli? Io non vedo così lontano da sapere cosa ci sia ad attenderci, ma ho deciso di tendere la mano.