Oggi ho ritrovato un appunto scritto qualche mese fa: conteneva un proposito che ora sarebbe tempo di mantenere. Ricordo perfettamente lo stato d’animo con cui lo scrivevo: avevo sbattuto alquanto le ali, orizzonti infiniti di libertà erano dentro gli occhi, e nel cuore, ero certa, l’autunno non avrebbe mai più portato paura e indolenza.
Quando l’ho letto invece mi sono spaventata, mi è sembrata una cosa così matta, che mi sono chiesta come avessi mai potuto anche solo pensarla. Poi ho cercato piano piano di pulire il tempo e la terra che avevano coperto quella me spavalda e sono indietreggiata fino al quella soglia luminosa piena di possibilità, in cui lo sguardo pareva lunghissimo ed era così chiaro ciò che era bene fare e ciò che era bene non fare più.
Ora, non ha importanza chi in me vincerà, quello che ho veramente di nuovo imparato è che c’è dentro di noi, e appare in alcuni istanti splendente come una giornata felice, ciò che potremmo e dovremmo fare, e quello che allontana da questa perfezione è la paura di uscire dal disegno delle cose che già conosciamo, che ci hanno detto che è giusto fare.
Così, dopo ogni vero istante di libertà, cioè in cui abbiamo incontrato davvero chi siamo, ci illudiamo che solo per un breve tempo ritorniamo ad un buonsenso del fare, giusto quel che serve per non far accorgere il mondo. Invece, appena appoggiamo i pensieri di nuovo a questa catena di rassicurazioni, dove ad ogni cosa finita segue una nuova cosa da fare e poi ancora un’altra ragione per farne ancora un’altra, da qui non ci spostiamo più.
E così si procede in giorni di un tempo provvisorio, di cui annunciamo ogni tanto la fine, che dura per tutta la vita. Perciò voglio provare a sgranchire di nuovo le ali, lo ricordo bene: c’è tanto cielo da respirare fuori dai piccoli pensieri.