India 2. Esercizi di presenza
  1. Quando la sostanza tiepida e densa inizia a colare sugli occhi, qualcosa intorno a questa pelle delicatissima vorrebbe resistere. Vorrebbe respingerla. E ci vuole un piccolo moto interno della volontà per invertire la direzione del sentire, per trasformarla in calma e in accoglienza. E allora sorge quasi un piacere sottile mentre il ghee, il burro chiarificato che viene utilizzato per la tecnica ayurvedica di purificazione degli occhi chiamata Tarpana,  inizia a penetrare nei piccoli capillari della pupilla e intorno al globo oculare. Quando la medicazione è finita, mi vengono ricoperti gli occhi con dei fiori bianchi, tenuti fermi da una garza leggera. Devo poi restare stesa dentro una stanza in penombra per un’ora, lasciando che il rimedio penetri ancora, mi porti l’aroma dolce dentro alla gola e al naso, si stenda dietro la fronte. E io sono tutta lì, in questa piccola inondazione dello sguardo.
  2. Stesa sul mio tappeto di yoga, mentre il maestro ci guida in un lungo, lento rilassamento al levar del sole, mi accorgo che ci sono sempre nuove piccole parti chiuse che si possono aprire. Che, oltre quello che finora ho chiamato “rilassamento”, esiste una dimensione nuova, che mi porta fino alle soglie in cui il corpo non è più materia. Mentre intorno si sveglia la vita, e sento la luce appoggiarsi piano sulla pelle e sopra ogni cosa, ascolto tutti i piccoli punti di contatto del mio corpo sul terreno, cerco di essere completamente dalla loro parte, di non scappare neppure con un pensiero. Procedo, e rompo quegli spazi nelle porzioni che li compongono, fatte di cellule e respiro, e cerco ancora di lasciar andare, di non resistere, di non controllare. Di divenire pura esistenza, la pura energia che c’è oltre la carne. Allora l’alba sorge, luminosa e immensa, anche da dentro di me.
  3. Quando intingo i piedi nelle  onde di questo mare tropicale, cerco di sentire ad uno ad uno i granelli di sabbia che si sfogliano sotto le mie piante. E di sentire le cellule che sentono, i canali con il sangue dentro che si ritirano per il piccolo brivido. Quando tocco con le dita la materia carnosa delle piante di questa terra, tenendo bene a contatto la mia e la loro pelle, attendo il momento in cui la mia vita incontra la loro, si riunisce in un’unica vita. Quando sto di fronte a un essere vivente umano, poi, cerco davvero di esserci con tutto il cuore, di fare domande di cui sono realmente curiosa, di ascoltare la risposta e insieme il battito del cuore da cui le parole nascono, e di riceverle io stessa con il cuore. E allora sento che così si può davvero essere con un altro, e sentire che non c’è nessun “altro”. Che tutto è Uno. Che le gioie e i dolori di ognuno appartengono a tutti.

Quello che comprendo è che solo in questi istanti di vera e piena presenza noi viviamo. Negli altri esistiamo.

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