tappa: Badrinath – Gwaldam
Scrivo da una stanza piena di cielo. Una stanza che è stata tramonto, poi stelle e canto dei grilli. E ogni volta che il contatto con la natura si fa così serrato, qualcosa in me esulta, ritorna a casa. Anche a questo si deve la Pace di queste montagne sacre, dove gli uomini cercano di leggere dentro di sé. Sì, si deve anche a quest’ebbrezza del respiro: una fusione che fa dimenticare i propri piccoli confini, e fonde nuovamente al Tutto di cui siamo una goccia, una foglia, un alito di vento.
In certi istanti questa felicità naturale prende la forma di una dolcezza infinita che si solleva dal cuore e rimette le cose in un ordine nuovo. L’ho potuto vedere bene nei giorni scorsi, quando non avevo più contatto con il mondo usuale, separata com’ero da ogni connessione, da ogni lingua di scambio, da ogni abitudine nota: quando sei costretta a mettere da parte tutti i ronzii con cui riempi la grande vertigine che risiede dentro ognuno di noi, allora ha spazio per parlarti quello che è veramente grande, quello che devi veramente fare. E nulla più è troppo o impossibile, nulla fa più paura.
E’ stato in un istante, mentre camminavo su un antico ciottolato d’altura, mentre mi inginocchiavo in un piccolo tempio rosa, che ho detto di Sì a tutto quello che deve compiersi attraverso di me. Che ho sentito che più di tutto vorrei servire Dio negli altri e che Dio potesse servirli attraverso di me. E in quel momento ho capito che stavo guarendo da tanti dolori rimasti stampati nella mente, e a cui la mente dava ancora il potere di creare futuro. Era perché la spina del mio cuore era attaccata a cose mosse fuori di me, cose che non potevo controllare, che ogni volta mi spezzavo e creavo sofferenza anche agli altri.
Ma se la spina è attaccata al Cielo, allora non sei più feribile, non sei più abbandonabile. Non c’è allora più nulla da giudicare o da cui attendere qualcosa, perché non è più una cosa personale tra te e qualcosa che è altro da te: ma sei un puro canale attraverso cui l’amore può passare e agire. L’unico metro con cui misuri la tua felicità diventa l’aumentata bellezza del mondo, perché non esiste più qualche cosa che tu possa chiamare ‘altro’: ma esiste un’unica vita, da amare in ogni forma come ameresti te stesso.
Ora in lontananza un cane abbaia, irrompe dentro la stellata e al canto dei grilli: ma è un unico concerto, e io spegnerò la luce: unirò anche il mio respiro.