Quante volte bisogna morire e rinascere, caricarsi la propria croce e risorgere! Ci pensavo in questo giorno sacro, nella comunità spirituale di Ananda, ad Assisi. E mentre ci pensavo, mi ritrovavo a commuovermi sempre e ancora per gli stessi temi. Perché a me è stato chiesto un passo così pesante e teso? Perché non riesco ancora a lasciar andare tutto questo sforzo che mi contrae i lati del viso e ad abbandonarmi completamente nel Cielo? Ovvero, avere fiducia che io non sono queste piccole oscurità che mi stringono la mente: sono luce e potrei invece splendere, se lo credessi veramente.
In realtà non è così facile. E’ semplice, una volta che si arriva all’altezza della propria verità, ma non facile. Non è facile per nessuno, ognuno per la propria croce. E’ come se fossimo tutti venuti qui sulla Terra, in questo giro di vita, con una sfida precisa. Un pezzetto di oscurità che ci riguarda, e tutto quello che dovremmo fare nel cammino è scioglierla: renderla un canale libero, in cui può scorrere senza intoppi la vita. Un luogo, cioè, in cui ci sentivamo piccoli e umani e dove alla fine ci ritroviamo eterni, ricordando la nostra vera natura. Per alcuni è la sfiducia di poter essere amati, per altri di poter riuscire nei propri sogni, o la paura persino del successo e della felicità. Sfide per ogni gusto.
Ma spesso questa sfida è stata scavata chissà in quanta vita, in quante vite: ed è un solco profondo in cui non si può guarire in una sola volta. Non finché lo sforzo è solo tensione. Finché non diventa accoglienza, amore, perdono, speranza. Cioè finché non nasce un vero Sì al cambiamento. Prima bisogna passare e ripassare più volte la stessa ferita. Rivisitarla in tutte le opportunità con cui la vita ci fa sentire quanto punge: e ogni volta ci dà la possibilità di scegliere di stendere un po’ di terra nuova a limare l’abisso. Prima bisogna preparare il terreno, perché sarebbe assurdo pensare che basti dire ad un precipizio: diventa un giardino di fiori, e chiudere gli occhi in attesa.
Quando invece tante volte saremo caduti e ci saremo rialzati, e avremo un po’ alla volta iniziato a vedere che nessuno ce l’ha con noi se ci ritroviamo ad inciampare sempre nella stessa sofferenza, ma è proprio l’occasione, l’unica possibile, per guarire che ci riporta ancora e ancora lì, allora vedremo che il buco si fa un po’ alla volta meno aspro, più fertile a nuovi propositi. Sarà tempo allora di livellare bene e di posare nuovi semi. Semi che con pazienza germoglieranno, oppure ancora si spaventeranno e dovremmo con pazienza rimettere. Rifarlo finché non saranno germogli e poi piante forti. Non c’è fretta: siamo venuti qui solo per questo. Perché, come dice al termine della Bhagavad Gita Krishna ad Arjuna: “Non ho dubbi che tu mi raggiungerai, poiché mi sei molto caro”.
Buona Pasqua, buona resurrezione.