Ho messo su quella canzone per piangere, sennò non ci riuscivo. Ricordi? È la canzone del giorno in cui ero tornata dall’ospedale, con una piccola appendice di carne in meno. In quell’agglomerato di cellule che era stato prelevato dal mio ventre io avevo visto il precipitato di un antico dolore. Un antico abbandono. Aveva preso quella forma dentro di me, ma non ne avevo più bisogno. Ero guarita ed era tempo di alleggerirsi. E se ora devo pensare a cosa hai portato alla mia vita, ritorno subito indietro a quel giorno. A quell’ingombro che se ne andava dal corpo, a quell’abbandono che se ne andava dall’anima.
Piango, ma non sono davvero triste, sento che questo addio che abbiamo appena celebrato non è un addio. E non importa neppure se ci vedremo ancora oppure no. Sento che quello che è successo oggi, quel saluto che non lasciava un seguito, che non aveva facce ridenti che indicavano il mattino, era la cosa giusta, la cosa più vicina alla verità. Andare avanti per noi oggi, amarci di più, significa lasciarci andare. Lasciarti andare. Perché c’è qualcosa della tua vita che ancora non hai trovato, e il rumore delle parole e delle attese di qualcuno vicino fanno buio alla strada in cui lo stai cercando. Serve il completo silenzio, la luce che dal silenzio si sprigiona.
E questo sentirmi libera di fare il tifo perché la tua esistenza si compia, senza rivendicare proprietà, senza premere il dito sulla nostalgia delle cose che abbiamo fatto e pensato insieme, dei momenti in cui siamo scoppiati a ridere per nulla e delle parole speciali con cui ci capivamo, credo sia il segno di quanto abbia fatto bene il tuo passaggio nella mia vita. Quanto tu abbia mantenuto quello che avevi promesso: insegnarmi a riposare, liberarmi i canali del cuore, dove si impigliavano l’ansia, la paura di essere ferita, di essere abbandonata ancora.
Io non sono stata altrettanto brava con le mie promesse, temo. E questa è l’unica cosa che ora mi fa male. Gli altri dolori, quell’immagine che ritorna dello spazio esatto tra la palpebra e il sopracciglio mentre dormi, il tuo sorriso di profilo mentre fingo di dormire io: quelli sono dolori da poco, che ho superato tante volte e lo farò ancora. Ma io avevo fatto tra me e me la promessa che ti avrei salvato, che ti avrei fatto rientrare dentro la vita a cui parevi arreso. Ho creduto di fare tante cose per farti del bene, invece forse le facevo per fare del bene a me, per farti diventare come credevo dovessi essere.
Tu lavoravi sulle mie ferite e le mie ferite invece lavoravano per farti diventare come me. Questo non lo capivo allora, lo realizzo, all’improvviso, solo ora, mentre sei un colore che si stinge all’orizzonte. Ho fatto davvero tutto con il cuore, ma con un cuore ancora ingombrato e pesante. E se anche tu oggi stessi pensando queste cose, spero mi possa perdonare. Ora, mentre stai ritornando indietro, esattamente nel punto in cui ti avevo trovato, dove finiva la tua strada ed iniziava la mia. Dove ti eri perso. In quello stesso punto tornerò anch’io ogni mattino con una preghiera, per chiedere protezione, per chiedere verità ai passi che per te verranno.
O forse non è vero, e proprio questo addio è il successo del mio passaggio nella tua vita: la consapevolezza che hai un cammino da fare, e non per forza con me. Allora quello di oggi non è un addio. Oggi non si celebra un allontanamento: si celebra una doppia guarigione. La mia e la tua. Un più alto colore dell’amore.