La luce che è nata

Ti chiedo scusa se oggi, per un momento, avrei voluto dimenticare quello che ho imparato, quello che mi hai insegnato. Se avrei voluto cedere semplicemente alla nostalgia. A memorie di sole, di mare, di balconi aperti alle palme, e al vento, e all’infinito. A parole in cui mi sono sentita a casa. Al nostro modo di sorridere dentro un mondo inventato. Cedere persino a più luce di quella che c’è stata. Di appoggiarmi a te, di pensare che sia quel tuo lontano il luogo in cui riposare quando la vita qui è al freddo e al buio.

Credevo infatti che fossero ancora fissi lì, sulla tua fronte, gli occhi che non trovo più nello specchio. E’ un fenomeno strano che mi capita in certi istanti di grazia: il marrone se ne va dalle pupille e lascia emergere un bulbo quasi trasparente, che sembra sporgere direttamente dall’origine di ogni luce. Credevo anche che fosse ancora lì, con te, la parte del mio cuore che ora è calma, aperta, fiorita. Con te anche la pace del sonno, la morbidezza dei risvegli. La lentezza dei gesti che seguono ogni dettaglio del giorno.

E allora ti ho cercato, per sapere se anche una parte di te era rimasta seduta sotto l’ombra del grande albero, dove mi aspettavi mentre io entravo nel mare. Per fortuna che tu hai capito subito quello che stava accadendo e mi hai ricordato la libertà che ci siamo regalati. Così ho ritratto la presa, sono tornata a me, e ho visto che non si spegneva il trasparente dagli occhi. Che non è qualcosa o qualcuno a intingerlo di luce, ma lo scorrere della vita stessa, quando in me c’è fiducia, apertura, amore abbastanza per stare con tutto ciò che mi porta. E per sapere che il flusso delle cose buone e giuste non è finito con la felicità che c’è stata.

Ho ripensato allora a quell’augurio pazzo che ci siamo scambiati prima di partire. A te che imponevi le mani sui miei occhi da cui già un po’ di pupilla si era trasformata in luce, e pensavi a tutto il bene che poteva farmi crescere, e non ti mettevi tra le cose del mio futuro. Poi è stato il mio turno e anche io ho trovato più forte la voglia di cose vere, rispetto al possesso che non te le lascerebbe incontrare: “ti auguro che arrivino ogni cosa e ogni persona che compiono il tuo cammino”, ho concluso, e non è finito il mondo e non è scesa un’ombra dal cuore. Ho sentito di camminare in uno strano, perfetto equilibrio: se avessi fatto solo un passo maldestro ti avrei stretto di nuovo dentro i palmi delle mani, per non lasciarti andare.

Invece ci siamo salutati un’altra volta così, senza una data nel futuro. Perché me lo hai insegnato tu, e quella conoscenza più alta che tutti e due più di ogni altra cosa cerchiamo, che nessuno può portarti via quello che è tuo. Che in nessun modo al mondo puoi trattenere quello che tuo non è.

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