E così si conclude oggi anche questo pezzo di cammino, anche se mi resta un po’ di vita indiana nei giorni a venire. L’incontro con l’ayurveda nella sua madre terra è stato più profondo ancora di quello che mi aspettassi. Dopo 21 giorni, il corpo di sicuro ne esce più pulito, strizzato di tutto quello che non ero io, ma questo non è nulla rispetto a quello che è accaduto all’anima. Sento che è successo qualcosa da cui non posso più tornare indietro, che ho visto paesaggi interiori e meccanismi della mente di cui non voglio più cadere vittima. Ho riletto la mia vita alla luce di un punto di vista nuovo, che ora spero mi guiderà nel futuro.
Ho sentito per la prima volta non astrattamente che quello che noi chiamiamo Io è solo una verità mascherata. E che per raggiungere il vero sé e necessario diventare osservatori del proprio corpo e ancora di più della propria mente, in modo quasi impersonale. Riconoscere i propri pensieri, le proprie emozioni, i propri sentimenti, rispettarne l’intensità, le cause che li hanno generati, ma poi anche diventare consapevoli che non siamo tutto questo chiacchierare che ci impedisce di sentire la musica del nostro silenzio, della nostra pace, della nostra gioia interiore. E che, se si arriva lì, si è veramente in salvo.
In certi momenti, quando la notte virava al rosa del mattino, mentre si risvegliavano gli uccelli esotici con canti che mi sono diventati amici, mentre il vento tra le palme portava via quello che restava dell’oscurità, per brevi istanti ho visto chiaro. Come se tutte le terapie avessero pulito i vetri della vista interiore. Per qualche pausa di grazia ho potuto distanziarmi da un’idea fissa e mentale su me stessa, e anche portare grande rispetto e amore per quella me che ha camminato finora legata ai condizionamenti della mente, spesso nati da dolori molto antichi, che forse ora sono in grado di lasciar andare.
Si tratta ancora una volta di un problema di libertà. Quando si deve decidere cosa di noi va cresciuto e da cosa invece è bene preparare il distacco, la domanda che dovremmo farci è infatti sempre la stessa: tutto ciò mi avvicina o mi allontana dalla libertà? E se ci accorgiamo che ci sono in noi tracciati che pensiamo di governare ma che invece tirano i nostri fili come burattini, allora bisogna prepararsi al taglio. Se è la vera libertà quella che cerchiamo in questa attraversata di vita. Se è, infine, la verità, la cosa che desideriamo più di ogni altra cosa.
Quanto a me, voglio provarci a smettere vecchi spaventi, vecchie definizioni, cambiare occhi e parole quando mi penso, provarci anche a non tendermi più per resistere alla vita: ad arrendermi, ma con fiducia e verso l’alto, al suo abbraccio perfetto.