Oggi ho salito una rampa di scale sopra la mia camera nell’ashram e si è aperto questo spazio di vento, di sole, di vastità. Ho sentito che la mia guarigione inizierà da qui. “Julia, no operation, I promise”, mi ripete ogni giorno Lakshmi, un’indiana piccola e rotonda, che ha un viso fatto quasi solo di sorriso, mentre mi spalma olio lungo le gambe e bisbiglia parole in sanscrito dentro il mio ginocchio. Lakshmi significa fortuna, e ho deciso di crederle. Di fidarmi. Ho deciso che fiducia e buoni pensieri non potranno far fallire le sue cure.
Ogni tanto lo prendo anche io tra le mani il mio ginocchio, e mi scuso con lui per averlo costretto a sorreggere pensieri troppo pesanti. Perché sono certa che è stato proprio così. Ad un certo punto ho talmente riempito la mia mente di affermazioni di fatica, di paure di non farcela a fare tutto, di fretta, di abitudini a prendermi anche carichi di altri, di illusione, anche, che nessuno mi possa aiutare incondizionatamente, che la parola ‘sovraccarico’ ha dovuto manifestarsi dentro il mio corpo, spezzettando qualche cosa all’interno del ginocchio destro. E ora sono qui a curare quei pensieri, innanzi tutto, per riavere così di nuovo la salute.
Questo processo di sfiducia è iniziato circa 15 anni fa, lo ricordo bene. Me ne andavo da un luogo in cui mi ero lasciata riposare, mi ero aperta e affidata. Tutta la vita dentro un’auto, uno zaino. Sull’altro sedile il mio amato cane Artù. Ripartivo da lì. C’era una lezione importante da imparare: tutto quel che ci serve è dentro di noi, e non si trova mai appoggiandosi a qualcuno. Ma in qualche modo mentre la mia anima cercava di espandersi nel nuovo insegnamento, un’altra parte di me si contraeva. Stringere i denti, fare tutto da sola, resistere. Questo mi ripetevo mentre procedevo solo avanti, senza sapere dove dovevo arrivare.
Questo pensiero ha creato un solco, che è diventato un’abitudine, che ho creduto di essere io. In fondo alla pianta di questa prova di resistenza ci sono tante radici. Parole come ‘abbandono’, ‘dolore’, ‘paura di affidarsi ancora’, ‘nessuno si può prendere cura di me’, ‘se non sono la più brava non mi amano’. Resistenza in cose piccole e in cose grandi, che si raccolgono nell’idea di non poter mai ricevere un regalo non meritato con fatiche, anche se tantissime volte la vita ha dimostrato di volermene dare a mani piene, ed è pure riuscita spesso a consegnarmeli, quando ero abbastanza distratta da non opporle il mio coraggio a denti stretti. In questa parte del cammino, ho conosciuto la mia forza, ho imparato tante cose di cui sono grata: ma ora è tempo di andare oltre. Di riaprirsi alla fiducia.
“Entusiasmo, forza di volontà, determinazione”, indicava con un dito magro, rigato da pelle divenuta antica, un astrologo vedico che ho incontrato qui, mentre tracciava la mia mappa. In India l’astrologia, la ‘jotisha’, è una scienza pratica, una delle scienze contenute nei Veda: racconta il punto da cui ripartiamo in questa incarnazione, ovvero quello in cui avevamo lasciato il mondo materiale nell’ultima vita. Lì ci sono, nei pianeti, nei cicli che attraverseremo, nei doni che abbiamo coltivato in passato e nelle sfide che abbiamo lasciato in sospeso, le tracce per capire come fare buon uso del nostro cammino. “Ma di tutti i talenti che ti sono stati dati puoi fare due usi: sollevarli o farti precipitare. Questa è la battaglia della vita”, mi spiegava, cercando di invitarmi a non rimproverarmi troppo se mi ero sfinita, si trattava, per lui, solo di cambiare la polarità a quell’energia e farne un altrettanto grande servizio: “E ti dico che ce la farai”.
E questo credo sia proprio quello che tutti qui siamo venuti a fare: conoscerci, capire quali sono le tonalità irripetibili che l’universo ha donato ad ognuno, per poi espanderle, sollevarle, usarle per crescere la luce nel mondo. E non abbatterci se spesso negli stessi punti di noi da cui può salire la gioia e il compimento possa aprirsi anche il precipizio in cui cadere, lo sconforto che ci fa augurare di essere diversi da noi, uguali ad altri. E’ perché proprio lì il Cielo ha premuto forte le sue impronte che i nostri punti di forza sono anche le nostre possibili debolezze. Dipende dal verso in cui li indirizziamo: verso l’alto o verso il basso. Quanto a me, ho deciso di volere bene a tutto quello che ora duole, di volerne anche a me, di perdonarmi: ho fatto solo il meglio che ho potuto, per quello che sapevo allora. E nulla andrà perduto, nel grande viaggio di conoscenza che è la vita.
2 thoughts on “Diario ayurvedico 2 – Un indovino mi disse”
Semplicemente Meraviglioso. Risuona nelle anime anche sconosciute.. Perché accade che le esperienze di uno creano un’eco nell’anima dell’altro e lasciano spazio per la guarigione di entrambi…. 💓
Grazie, Elisa!