spiragli d’anima

L’autunno inizia di nascosto quest’anno. Fa convivere aria ancora estiva con la natura che si colora e segue il proprio corso. Mi sento sempre strana quando una stagione entra nell’altra. Ogni anno credo di essere pronta, invece c’è un momento in cui vorrei trattenere il lembo di vita che se ne sta andando, mettermi davanti a quello che sta per entrare, sbarrargli la strada e chiedergli di aspettare un attimo. Dirgli che non sono pronta, che mi fa disperare lasciar sempre andare via ogni cosa così, con velocità. Che ho bisogno di fermarmi: di sedermi, di pensare a cosa è successo.

Non è nostalgia. Ma le cose mi restano dentro a lungo, e solo con calma fanno venire a galla il loro senso. In questi giorni c’era dentro il petto una grande costipazione. Non riuscivo a scrivere, non riuscivo a sciogliere in significati chiari il groviglio che mi tratteneva dal sentire. Oggi all’improvviso qualcosa si è sciolto: mi sono permessa di piangere. Ho trovato sotto la calotta forte, luminosa, che ho cresciuto con tutta la determinazione che ho potuto, della tristezza che avevo dimenticato. L’avevo chiusa dentro uno spazio inaccessibile persino a me.

Sotto il rigido, il teso, il forte, questa parte oggi ha trovato un pertugio ed è uscita. Mi ha raccontato vecchie cose nuove. Mi ha fatto comprendere quanto quello che chiamiamo mondo non sia in fondo altro che l’angolo vitale in cui ci siamo rifugiati, a lato dei grumi di macerie di tutto quello che ci ha fatto male e a cui abbiamo chiuso la porta. E come sia impossibile da questa prospettiva piccola incontrare davvero qualcosa, qualcuno. Altri mondi nati da altre storie. Quanto ci illudiamo a questi piani di amare e quanto lavoro di libertà ci sia sempre ancora da fare, prima di far realmente scorrere la vita.

Ecco, per un attimo ho visto il puntino luminoso della mia anima pulsare sotto strati e strati di controllo, di sforzi e di fatiche. Chiedeva cose semplici, silenziose: chiedeva di respirare, di dargli una possibilità di essere quella che è. Anche fragile e triste a volte. Mi chiedeva di fidarmi di lei. Di lasciare la presa, di smettere di fare tutto quello che faccio per poca fiducia nella vita. Di provare di nuovo a vedere la magia che tiene insieme le cose, e che non devo fare tutto da sola. Ma, finché continuerò a farlo, non potrò mai sentire il supporto dell’universo che sa perché siamo qui, dove dobbiamo andare.

Mi sono fatta pena, credo, per questo ho pianto. Sono stata brava a fare, oggi pensavo, ma non a ricevere. Non lascio aperti spazi perché ho paura che non entri nulla. Non chiedo perché ho paura che non mi venga dato. E non mi affido perché temo che nessuno potrebbe prendersi un po’ del mio peso, quando sono stanca. Ma quello che oggi ho visto chiaro è che da soli si può arrivare solo fino ad un certo punto. E non c’è nessun eroismo in questa resistenza.

Credevo di aver fatto un pezzo di strada. Oggi mi sono rivista ancora ai piedi della montagna. Ma forse già vedere la montagna è un grande privilegio. Un nuovo punto da cui partire.

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