la cura dell’Infinito

Quando sono sfinita, mi cura una sola cosa: l’infinito. E in questi giorni di cielo e di colli ho respirato sconfinatezza, mi sono dissetata. L’autunno è stato un compagno mite, posato con grazia sulle foglie, sui lembi di prato. Ogni giorno un po’ di più, senza farsi notare. Foglia a foglia, filo d’erba dopo filo d’erba, ogni mattino un po’ di oro e di rame nuovi tra le pieghe del paesaggio.

Una volta ancora, la natura è commovente. Non solo bella, non solo maestosa: prende al cuore. Costringe a sopportare la verità sulla fragilità di ciò che vive. Addestra a guardare negli occhi tutto il ponte della vita, tra la nascita e la morte. E la fame, la sete, il freddo. Dove ogni rimedio, ogni rifugio sono rimedi e rifugi piccoli.

A volte mi chiedo se abbiano freddo tutti gli animaletti che si affacciano qui ai vetri della casa, e vorrei dare tetto e cibo a ognuno. Distribuire carezze, rassicurare la vita. Mi fa male pensare che a qualcuno lì fuori possa mancare qualcosa, poi devo cedere alla mia impotenza di fronte alla vastità.

Strada per santa Maria di Lignano

 

E nel bosco da qualche giorno ci sono gli spari dei fucili, a volte urla strazianti. E anche questo ho dovuto stivare nel cuore, ed espanderlo perché potesse contenere tutto senza fratturarsi. Una resa all’infinito, e un racconto sul mondo, che alla fine ha rimesso in ordine di grandezza le cose.

Quando sono arrivata qui, se n’era andata via tutta la pace. Ero velocità e attività. La mia permeabilità ai dintorni dovrebbe farmi scegliere sempre bene i luoghi e le situazioni. Invece ero cascata di nuovo nella boria di portare luce a tutto, e di essere forte, e alla fine mi mancava il respiro. Non trovavo più il mio tunnel d’aria.

Ci penso da un po’. Di là, nel mondo che corre, è come se il vero sfondo di quella che chiamano la crisi economica fosse in realtà una crisi di energia. Non c’è più aria e sostegno vitale per tutti. C’è un’apnea generale che crea spavento e affanno. E la lotta non è davvero per un posto di lavoro, ma per il proprio metro cubo di respiro, di riposo, di silenzio. Ci rubiamo l’un l’altro l’ossigeno, la forza di vivere.

Ecco, io non me n’ero neppure accorta, ma non ce la facevo più. Sì, ero sfinita. Ed è stata una lunga cura ricostruire la pace. Guarire il corpo infiammato e l’anima tesa. Un lento ascolto del ritmo naturale che da solo guarisce ogni cosa. E un ritrovare il senso della vita, onorandola in ogni momento, facendo di ogni azione un’offerta rituale.

fioritura in novembre

Ritrovare la sacralità e l’immensità che portano ogni giorno dall’alba al tramonto. E la gratitudine per ogni raggio di sole sul prato. Per le curve dei colli. Per il vento che fa disegni tra le foglie. Per certe ore d’oro del pomeriggio. Per il colore del cielo che non ricordavi così terso. Per la luna di stasera.

Vivere così è pregare. E questa preghiera voglio portarla con me ora, non scordarla più.

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