Lettera a Francesca

Cara Francesca,

quando sono entrata nell’aula non riuscivo a vederti. Ti ho cercata tra i bambini biondi della stanza inglese, piena dell’emozione di quel primo giorno di scuola, e non c’eri. Poi sì, ti ho trovato, eri diventata più piccola, per non essere vista. Non c’era più la vita guizzante che avevo rincorso tra i divani, mentre facevamo amicizia. C’era una luce fioca, che non cercava nessuno di là della porta, come se sopravvivere a quelle ore dovute all’ordine ti avesse fatto dimenticare di te.

Sei uscita al suono del tuo nome, senza guardare né chi ti chiamava, né chi ti aspettava. La strada verso casa percorsa come quel burattino di legno, quando non era diventato bambino. La mano che strisciava le siepi, per impigliare, far sentire l’impaccio del procedere. Quel che era successo, e che tu non dicevi, lo capivo col cuore. Eri messa a confronto con il mondo, la tua vita singolare si era frammentata in tante vite, ti era parso di non poter più essere te. Di non essere più amata solo perché eri viva. Ora dovevi essere brava, essere scelta, essere come si deve essere, a prezzo della tua verità.

Ma a cinque anni queste cose non si spiegano, precipitano in fondo alla pancia come una voglia di non parlare, di piegare la fronte sul tavolo. All’improvviso ho avuto paura per la tua vita, ho visto in te la mia, ho desiderato forte di prendere su di me tutti i modi forti in cui dovrai conoscerti, crescere, scegliere la strada. Ho visto la minaccia della tua sensibilità, e avrei voluto barattare con il Re del tempo di dare a me le tue prove, ma non si può Francesca. A ognuno tocca la propria vita, la propria opportunità.

Allora ti chiedo di non credere a quelli che ti diranno di abbassare la voce per farti sentire sbagliata, che ti faranno pensare che i tuoi gesti rompano le attese, che i tuoi giochi siano lontani dai giochi conosciuti. Non smettere, Francesca, di aspettare gli uccellini che si avvicinano ai rami di orchidea della finestra. Non smettere di stringere in mano i fiori spezzati da chi ti camminava avanti con fretta, di piangere per i rami potati del grande albero, di dare ospitalità alle farfalle tra i palmi delle mani.

Quando ti sembrerà di non assomigliare a niente e a nessuno di quello che hai intorno, non aumentare il passo per cercare più lontano: fermati sei già tu quello che cerchi, e abbi fiducia in quello che senti. Dentro di te c’è una bambina saggia, che ha già setacciato la vita e sa cosa sei venuta a fare, che via devi seguire. Prendi lei come tua migliore amica. E se per trovarla dovrai scontrarti in qualche muro, in qualche addio che fa male: ricorda che non è diverso da quando correndo cadevi, ti sbucciavi le ginocchia, ma poi ti rialzavi e ripartivi. Il dolore serve a questo, a imparare qualcosa, a lasciare la strada che fa male e a sceglierne una migliore.

E quando conoscerai per la prima volta l’amore, ricorda sempre che la bellezza è nel tuo cuore, e questa non finirà mai, con nessuna delusione. La meraviglia è dei tuoi occhi, e non potrà portarla via nessuno. Vivi la vita come un magnifico viaggio, ogni tappa serve a qualcosa. Usa la curiosità non il giudizio. Sii golosa, affacciati ad ogni finestrino, e cerca la luce, seguila sempre, Francesca, come quella per la notte che ti ho lasciato sul comodino, perché tu non abbia paura se ti svegli all’improvviso. Io ci sarò. Non mi vedrai sempre, ma sarò un punto fermo, in quella luce, all’orizzonte.

la zia.

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