Le parole che mi hanno salvato

“L’indipendenza che è la mia forza implica la solitudine che è la mia debolezza”

Pier Paolo Pasolini

Se dovessi ritornare indietro al momento in cui mi chiedevano il senso della felicità che ho raccontato nel libro, c’è una domanda a cui vorrei dare una nuova risposta. “Nella sua biografia si legge che scrivere le ha salvato la vita: in che senso?”, si è alzata ad un tratto una giovane donna, con gli occhi impauriti dietro due occhiali leggeri, che sembravano più un filtro per ricevere piano il mondo che un ingranditore per avvicinarlo.

Io mi sono guardata intorno, ho cercato gli sguardi dei miei genitori, mi sono chiesta se fossero più contenti del fatto che tanta gente mi stava volendo bene o più scossi per il dolore che mi era costata la felicità, e ho deciso in un istante di far sorridere tutti: “Proprio così: quando avevo quattro anni, ero molto ansiosa, non riuscivo a fare il pisolino dopo pranzo all’asilo. Tutti gli altri bambini dormivano e io restavo sveglia, annoiata e con un senso di diversità per quella mia condizione: ho preso i quaderni di mia sorella, ho copiato le sue prove di calligrafia e ho imparato a scrivere. Così mi hanno mandato a scuola e ho risolto il problema”. Hanno riso, in effetti.

Ma questa prima àncora che mi era stata offerta dalle parole non era che un preludio a quello che sarebbe venuto. In realtà ci sono strade che non puoi fare mentre vivi la vita che vivono tutti. Strade in cui anche la disperazione può essere un compagno di cammino. E così ricordo quegli anni in cui nulla intorno mi pareva che mi assomigliasse e in cui avrei fatto di tutto per assomigliare a qualche cosa. I primi passi non sono stati facili, è dopo, molto dopo, che ho capito la direzione e il perché. All’inizio semplicemente tutte le altre strade mi si sbriciolavano sotto i piedi. Ho dovuto caricarmi il fardello sulle spalle e iniziare a scavare un tunnel dentro il buio per cercare la luce da un’altra parte, senza neppure sapere se esistesse un altro luogo, se fosse davvero luminoso, se avessi riserve d’acqua abbastanza per attraversare tutto il deserto.

Oggi ringrazio quel dolore e posso dire che non c’è nulla che non sia valso la pena, se mi ha portato a questa accoglienza della vita. Ma non in tutti momenti sono stata certa di farcela. E non avevo alternativa. Oggi so anche che questa è la battaglia che si compie dentro tutti gli uomini, come racconta la Bhagavad Gita. Dentro di noi si affrontano due eserciti opposti: uno vuole andare verso il basso, uno vuole andare verso l’alto. Uno è attratto dalla forza di gravità dei sensi, l’altro dall’amore supremo.

videointervista Messaggero Veneto

Ma prima di mettere le ali, bisogna gettare fuori dal volo tutta la zavorra, massi pesantissimi che in tante vite abbiamo costruito ad ostruire la luce. E’ lo scontro con questi ostacoli il dolore. E il dolore è la prova per vedere se abbiamo volontà e determinazione a sufficienza a percorrere tutta la strada che ci spetta per compierci, per fiorire. Poi via via il cammino diventa più leggero, e l’attrazione del cielo non teme più quella che volge in basso. Ma quei primi passi bisogna farli e farli da soli, la solitudine è l’altra grande prova da superare. Ed è stato allora che la scrittura era la mia unica compagnia e che mi ha salvato la vita. Mi ha aiutato a scavarmi la strada, a stanare il buio. E’ stata il mio amico, la mia presenza, il mio amore, le mie lacrime, le mie risate.

Ora vedo tutto questo come un paesaggio lontano, e sarei pronta a spronare ognuno al viaggio, a dire che è comunque l’unica strada possibile, che è la gioia crescente a dirti se stai facendo i giusti passi. A testimoniarlo ancora e ancora che questo è la felicità: l’accoglienza per ogni cosa arrivi nella vita, come la lezione perfetta che devi apprendere per proseguire la tua formazione per la grande scalata, fino alla luce.

Lo racconto un po’ in questa intervista:

https://www.facebook.com/messaggeroveneto/videos/10155089823273237

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