In questi giorni di estrema calura mi capita di sentire le dita con cui la realtà punge i luoghi fragili del mondo. Mi metto nel punto di vista sfinito di un anziano che sente svaporare la chiarezza dei pensieri, sento il cielo senza ombre sotto il pelo folto di un animale, mi rattrappisco nella sete di un albero.
E poi vado oltre, in altri punti sofferti e vicini. Affronto una curva con lo sguardo presbite di mio padre che si sente sempre vicino all’urto, alla possibilità del precipizio finale. Sto dentro la solitudine di un cane amato che vede allontanarsi il padrone. Resisto nell’arsura del noce che dà ombra alla casa e difende le proprie parti vive, sacrificando precocemente le foglie.
Proseguo in terre lontane dai nostri lamenti, dove ci sono persone che muoiono per questa combustione della Terra. Poi, quando il male travalica e non lo contengo più: lo raccolgo tutto, lo consegno in mani alte, dove ogni cosa ha un senso. E solo così posso respirare. Rinfrescarmi.