India 2, lezioni di affidamento

Sono arrivata ora tutta quanta in India. Tutte le parti di me che resistevano hanno dovuto cedere ad una ad una. Non dà molte altre possibilità questa terra.

All’inizio c’è qualcosa nel corpo e nella mente che giudica, fa confronti, crea aspettative, poi no, sarebbe un lavoro inutile. Fa caldo e bisogna dirsi: va bene devo capire cosa posso trovare di buono nel fatto di essere qui proprio in questo momento, perché questa esperienza potrebbe essere resa unica anche dal fatto di aver vissuto giorni di temperature così eccezionali (oggi ci sono 45 gradi a Tiruvannamalai, non piove più o meno dal periodo natalizio).

Ma la prova maggiore si sperimenta con i programmi che si tenta di fare: non è possibile se sei venuta qui per ricevere un altro messaggio che non sai ancora, ma che Lui (qui Lui è Lord Shiva), sa benissimo e ti rivelerà un poco al giorno, man mano che sarai in grado di riceverlo, e di comprenderne la rivelazione.

Bisogna essere davvero flessibili in India, la patria dello yoga. Ad esempio l’altro giorno volevo andare a buttarmi in una piscina per un po’ di refrigerio, ma appena uscita di casa è passato un carretto trainato da un bue con le corna dipinte di azzurro e l’omino mi ha detto di salire a bordo. Non mi ha chiesto dove volessi andare: ha continuato la corsa e ad un certo punto si è fermato e mi ha detto di scendere. In quel momento, esattamente lì, stava passando un giovane Swami (monaco rinunciante) che faceva parte della mia combriccola di amici e conviventi l’ultima volta che sono stata qui, a inizio anno. E guarda caso quello Swami mi ha detto una cosa che ha completamente cambiato i miei programmi, e ha determinato i passi successivi.

Avevo ricevuto il pezzo di rivelazione che mi serviva per andare esattamente dove dovevo andare. E forse da quel momento ho iniziato a mollare gli ormeggi, a smettere di essere illusa di essere io a guidare. Dopo una notte insonne per il calore, le zanzare in stanza resistenti anche ai rimedi portati dall’Italia, e a una situazione pesante che si era venuta a creare con la persona con cui vivevo, il mattino successivo mi sono alzata alle 4.00 e sono andata alla grande cerimonia di purificazione al tempio, una puja meravigliosa fatta di colori, di fiori e di rituali che hanno una pienezza che noi dovremmo re-imparare.

Ero pronta: Shiva avrebbe iniziato a parlarmi. Mi sono arresa: gli ho chiesto esattamente che mi arrivassero dei segni su quello che avevo programmato prima di venire qui, se fosse il cammino giusto per questo soggiorno. E i segni sono arrivati. Questo non finirà mai di stupirmi dell’India, che se ti offri con vera devozione, hai esperienze immediate che esiste una vita oltre la vita, che anzi la vita in cui ti eri confinata non ha orizzonte se non la ancori a quell’altra più alta, e sarebbe solo un vagare a caso. Gli Dei qui più che ovunque rispondono e lo fanno anche molto velocemente.

Sarebbe troppo lungo, e passerebbe attraverso troppi dettagli di vita molto personale, il modo in cui mi è stato detto cosa dovevo fare, la risata che è arrivata di fronte ai miei piccoli programmi fatti di prenotazioni prudenti, orari di partenze, luoghi in cui fare turismo… Niente di tutto questo. Dico solo che ho vissuto per i primi cinque giorni in una casa di indiani, accendendo il ghee alla mattina, intrecciando i fiori di gelsomino, cercando anche di fare al meglio delle mie possibilità culturali la donna in un Paese che è ancora molto conservativo nei ruoli di genere, e ieri sera ero invece ero a gambe incrociate su un tappeto del Nord dell’India, in mezzo ad un gruppo di kashmiri che nel Sud del Paese vendono gemme e sciarpe preziose, mangiavo con le mani riso e una mistura di patate con il sugo, ascoltavo racconti di come il conflitto nelle loro terre li stia esasperando e tutto questo non faceva una grinza.

Mi erano stati tolti tutti gli appoggi e gli orpelli a cui credevo di aggrapparmi, e non mi era rimasta altra scelta se non quella di lasciarmi andare: e il fatto è che quell’abbandono, di cui avevo paura e per cui mi ero armata di mappe pronte, era in realtà bellissimo. Ho provato dentro l’espansione di tantissime possibilità, mentre noi ce ne diamo sempre così poche, controllate, e rischiamo di perdere la nostra vera dimensione, che è infinita.

Ho sentito che avevo tagliato le ultime resistenze: ero di ovunque. Che non anticipavo più i passi, ma li attendevo man mano che arrivavano con curiosità, non più con resistenza. E che questo è l’atteggiamento con cui tutta la vita diventa sempre piena e interessante: se riesci a viverla come un grande viaggio, in cui puoi imparare qualcosa in ogni stazione, e allora ti può davvero anche capitare di fare quel  cammino che è solo tuo per cui sei venuta qui.

Gli unici bagagli che sono richiesti sono la libertà e la capacità di abbandonarsi, ovvero di appoggiarsi a qualcosa che non devi voltarti dietro a guardare, ma essere certa che c’è, e ti prenderà sempre tra le braccia.

 

Commenti

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.

Altri articoli

Connecting to Heaven (4)

Il tour comincia a prendere un’accelerata in ascesa, promettendo luoghi sempre più sacri. Ieri c’è stata la tappa di Nainital, all’ashram di Neem Karoli Baba, […]

Read More…