Intermezzi

Oggi è un pomeriggio di metamorfosi tra l’inverno e la primavera, e anche io mi sento sospesa, come un fiore che cambia stagione. C’è una linfa nuova che vuole uscire e che devo proteggere, ma ci sono anche scorze dell’inverno che ancora non sono riuscita a sfilare.

Prima ho attraversato la città in bici, imponendomi di essere più forte dei suoi angoli acuti, di non farmi mettere in crisi dalla sua fretta, poi invece sono crollata davanti ad un caffè, perché una signora di quel vecchio quartiere ‘bene’, dove avevo pure abitato, aveva detto tutti i nomi delle paste in francese, per tirarsi su, per appendersi ad abiti sfarzosi che parlassero al suo posto.

Ho provato un’infinita compassione per lei e per la fragilità di quest’epoca così sfinita, ma una parte di me ha iniziato anche a fare la solita marcia indietro: “Tanto io non sono di qui e me ne vado”, ha detto la mia vocina zingara, quella con la valigia sempre in mano. Che preferisce fuggire in qualche luogo intenso anziché difendere la sua terra così avvizzita in falsi valori. E quella stessa parte di me si è ritirata idealmente dentro le parole con il sole di quell’uomo del Bangladesh, la voce che ieri al telefono era felice di una felicità che potevo capire, quando ho detto che la sua famiglia avrebbe avuto presto il permesso per raggiungerlo in Italia. Una storia umana lunga che forse giunge al lieto fine.

E mi piacerebbe sentirmi buona perché il mio cuore si accende sempre in difesa dei più deboli, ma non credo che la donna della pasticceria avesse meno bisogno di aiuto o fosse forte, e non credo neppure di essere così buona, alla fine. Anzi, sono fughe romantiche le mie, in luoghi dove il dolore è un dolore semplice, che riesco a decifrare, ed è persino più comodo, più facile, sentirsi d’aiuto lì.

Forse questi miei distaccamenti dalla realtà avvengono perché solo in certi momenti sono veramente piena, e capisco che non si deve attendere nulla, ma portare la luce comunque, ovunque, e allora la vita diventa ricca e ti porta anche doni inaspettati. In altri momenti invece sono di nuovo rinchiusa dentro il mio pregiudizio di incomprensione, di solitudine, e ancora attendo fuori che arrivi un interlocutore perfetto, sapendo che nel frattempo ho costruito in me un nido perfettamente accogliente, dove posso non far entrare nessuno. E

quando sarà superata davvero la distanza tra questo nido e la vita che scorre, qualsiasi essa sia, allora non ci sarà più bisogno di giudicare e potrò, senza discontinuità, semplicemente essere. Oggi non sono lì, e non sono neppure qui davanti al mio computer, a pochi giorni da un nuovo viaggio di cui non ricordo le ragioni: sono fuggita nel sogno della casetta di legno in Umbria, affacciata su immensi tramonti. Ho spostato con i pensieri lì tutto il mio star bene, anche se è un’altra scusa e non è così.

Oggi ho di nuovo la pelle sottile delle gemme, la pelle che protegge il fiore, quando ancora non può resistere del tutto al mondo.

Commenti

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.

Altri articoli

Connecting to Heaven (4)

Il tour comincia a prendere un’accelerata in ascesa, promettendo luoghi sempre più sacri. Ieri c’è stata la tappa di Nainital, all’ashram di Neem Karoli Baba, […]

Read More…